domenica 2 ottobre 2016

Tutti i numeri dell' agricoltura biologica negli USA


di Luigi Mariani


"Carlin  pensiero"

Rispetto all’agricoltura convenzionale nel 2014 si sono registrate rese inferiori del 34% per frumento, del 35% per mais, del 32% per soia, del 62% per patata, del 50% per pomodoro e del 40% per melo

 


Abstract

Yields of organic agriculture for 2014 gathered by the US Department of Agriculture (USDA) have been the subject of a scientific paper published on Plos One. Compared to conventional agriculture, lower yields of 34% for wheat, 35% for corn, 32% for soybean, 62% for potato, 50% for tomato and 40% for apple tree were detected. Data for wheat, corn and soybeans are particularly impressive as these crops together with rice give 64% of caloric intake to world people. This means that if the organic farming would expand globally there would be significant risks for food security.
In the specific case of Italy, these data invite to reflect on the expansive policies in the field of organic and biodynamic farming promoted by the minister for agricultural policies Martina. What sense has this choice when we are importing 50% of the wheat we need for pasta, bread and biscuits and 35% of the feed for livestock, essential for the production of some of the major food products for export (ham and grana cheese)?



Riassunto

I cali produttivi delle aziende che praticano l’agricoltura biologica rispetto alle aziende convenzionali, registrati dall’ US Department of Agriculture (USDA) nel 2014, sono stati oggetto di una pubblicazione scientifica apparsa sulla rivista Plos one. Rispetto all’agricoltura convenzionale si registrano rese inferiori del 34% per frumento, del 35% per mais, del 32% per soia, del 62% per patata, del 50% per pomodoro e del 40% per melo. I cali produttivi registrati da frumento, mais e soia sono particolarmente impressionanti in quanto tali colture insieme al riso costituiscono oggi il 64% dell’apporto calorico per il genere umano e dunque cali produttivi quali quelli registrati negli Stati Uniti, qualora portati a livello globale, avrebbero conseguenze devastati sulla sicurezza agricola mondiale.
A livello locale italiano occorre riflettere bene sulla via del biologico e del biodinamico che il ministro delle politiche agricole Martina sta perorando a gran voce e in tutte le sedi. Che senso ha una scelta votata al decremento produttivo quando già oggi siamo importatori del 50% del frumento che ci serve per pasta, pane e biscotti e del 35% del mangimi per la nostra zootecnia, da cui derivano molte delle eccellenze alimentari da esportazione (i prosciutti crudi, i formaggi grana)?


Un quadro preoccupante


I cali produttivi delle aziende che praticano l’agricoltura biologica (organic farming) rispetto alle aziende convenzionali, registrati dall’US Department of Agriculture su 800mila ettari di colture biologiche praticate in 10mila aziende sparse in 37 Stati dell’Unione, sono stati oggetto di una pubblicazione scientifica sulla rivista Plos one dal titolo “Commercial Crop Yields Reveal Strengths and Weaknesses for Organic Agriculture in the United States” a firma di Andrew R. Kniss e Steven D. Savage (Università del Wyoming - Department of Plant Sciences) e di Randa Jabbourdi (libero professionista). L’articolo è liberamente reperibile qui.
Scrivono gli autori che di solito i confronti fra biologico e convenzionale vengono eseguiti a partire da prove sperimentali che, come ben sa chi si occupa di sperimentazione agronomica, non sono per loro natura pienamente rappresentativi delle realtà produttive aziendali. Ciò spiega il fatto che gli autori abbiano preferito andare a verificare cosa accade in situazioni di pieno campo attraverso i dati della banca dati dell’USDA.

Tabella - Produzione delle colture biologiche di Stati Uniti d'America nel 2014 espressa come percentuale sulla produzione delle colture convenzionali (dati desunti dalle figure 1 e 2 di Kniss et al, 2016).

Table - Production of organic crops of the USA in 2014 expressed as percentage of production of conventional crops (data deduced from Figures 1 and 2 of Kniss et al., 2016).




Ho ritenuto utile riportare nel titolo i cali produttivi registrati da frumento, mais e soia in quanto tali colture insieme al riso costituiscono oggi il 64% dell’apporto calorico complessivo per il genere umano e dunque cali produttivi quali quelli registrati negli Stati Uniti, qualora portati a livello globale, avrebbero conseguenze devastati sulla sicurezza agricola mondiale. Nella tabella 1 si riportano i dati produttivi di tutte le colture indagate riportando sia la media sia la mediana. Quest’ultima indica il calo di resa rispetto al convenzionale al di sotto del quale si colloca il 50% dei dati indagati.
Dalla tabella 1 si noti che alcune colture presentano riduzioni di resa particolarmente rilevanti. In particolare per le erbacee la patata perde il 62% e il pomodoro il 50%, per le arboree il melo perde il 40% e la vite il 60% e per le orticole l’anguria perde il 68% e la cipolla il 60%.
Ma come fanno gli agricoltori a campare con queste rese? In assenza di sussidi pubblici (su cui non ho francamente indagato) lo faranno ovviamente aumentando i prezzi.

Quale morale a livello globale 

Questo è quanto ci dice l’arido linguaggio dei numeri. Non possiamo fare a meno di ricordare che l’ascesa del biologico è spinta da personaggi ad altissimo livello (dal principe Carlo d’Inghilterra alla signora Michelle Obama) che fanno da testimonial ad una tecnologia che, forte dei pregiudizi antiscientifici che la animano, presenta i limiti che vado di seguito a riassumere:

1. lesina in nutrienti ed in difesa da parassiti, patogeni e malerbe, il che si traduce nei rilevanti cali di resa oggetto di questo articolo

2. non garantisce vantaggi significativi in termini di qualità dei prodotti che anzi, come ci dimostra il caso di avvelenamento collettivo prodotto nel 2011 da un’azienda biologica che operava in Germania e che portò a 45 morti e 10mila ricoveri in Ospedale, è tutt’altro che garantita in assenza di un quadro di controlli robusto e coerente

3. può generare problemi di sostenibilità ambientale ed in tal senso evidenzio da un lato l’abuso di sali di rame per la lotta alle crittogame (il rame è un metallo pesante che si accumula nei terreni e persiste per tempi indefinibili) e dall’altro l’utilizzo di grandi quantità di concimi organici (letame) per la nutrizione vegetale che può ingenerare problemi di inquinamento da nitrati delle falde: a primavera, quando le temperature salgono, i terreni liberano enormi quantità di nitrati in modo abrupto e se questi non sono trattenuti dalle colture finiscono inevitabilmente per essere dilavati dalla pioggia finendo in falda.

Quale morale a livello italiano

A livello locale italiano invito poi a riflettere bene sulla via del biologico e del biodinamico che il sagace ministro delle politiche agricole Martina sta perorando a gran voce e in tutte le sedi. Che senso ha una scelta votata al decremento produttivo quando già oggi siamo importatori del 50% del frumento che ci serve per pasta, pane e biscotti e del 35% del mangimi per la nostra zootecnia, da cui derivano molte delle principali eccellenze alimentari da esportazione (i prosciutti crudi, i formaggi grana)?
Non avrebbe più senso puntare in modo deciso e senza incertezze ad agrotecniche fondate sull’agricoltura di precisione, l’agricoltura conservativa e la difesa integrata associate a metodiche innovative nel settore del miglioramento varietale?
Che accadrebbe se in un’industria si proponesse un processo produttivo in grado di produrre cali di rendimento così rilevanti?
Possibile che siamo ancora infognati in un dibattito da operetta sui “cibi puri” imposto da “mulini a vento” come Petrini, Vandana Shiva e Giulia Maria Crespi, che di difesa fitosanitaria e nutrizione dei vegetali non capiscono un H e che nonostante ciò esercitano il predominio sui media, condannando il paese all’arretratezza culturale in campo agronomico e all’inevitabile marginalizzazione rispetto all’innovazione del settore agricolo?

Conclusioni

Scriveva il poeta francese André Suarés che “La moda è la più eccellente delle farse, quella in cui nessuno ride perché tutti vi recitano” e, nel caso del biologico, mi pare che si stia assistendo proprio a questo. Da parte mia non posso far altro che inviare i lettori a considerare con la dovuta attenzione i dati preoccupanti che emergono dalle statistiche che sono state presentate e discusse.




Luigi Mariani Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.


7 commenti:

  1. A volte penso che la soluzione di un problema sia nel problema stesso: per risolverlo basta attendere che si manifesti l'inevitabile esito negativo.
    Quando tutte queste aziende ed azienducole che spuntano come funghi e si buttano sul biologico, denotando mancanza di idee ma anche tutta la disperazione che la crisi economica ha generato, constateranno a proprie spese che il biologico non è redditizio, allora la moda del bio - che ora e' nella fase di massimo livello di esasperazione - inizierà finalmente ad imboccare la china che conduce alla soluzione automatica del problema.
    Faccio un esempio. Qualche tempo fa, mia cognata, che vive nelle Marche, entra in un nuovo negozietto bio in cui il proprietario vende vari generi tutti prodotti da lui e a km zero, compreso un economicissimo pane di grano duro Senatore Cappelli (e ti pareva...) alla modica cifra di 6€ il chilo.
    Qualche tempo dopo, mia cognata ricapita nel negozio-gioielleria e chiede un'altra pagnotta-lingotto di pane Cappelli, ma stavolta il proprietario, mestamente, le dice che purtroppo il raccolto e' andato a male e quindi non avendo grano da macinare non ha nemmeno potuto panificare.
    Questo e' proprio quello che succedeva "una volta", quando se l'annata andava bene avevi il pane e se invece andava male il pane lo facevi lo stesso, ma con la farina di ghiande.
    Qualche altra botta così e il nostro biocoltivatore, se vorrà continuare a fare l'imprenditore agricolo, dovrà sicuramente rivedere le proprie strategie aziendali.
    Sergio Salvi

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    1. Caro Sergio, grazie per la testimonianza personale. Circa l'incipit, a volte mi ritrovo anch'io a pensare che la soluzione di un problema sia nel problema stesso e dunque nel caso del biologico penso che prezzi alti, problemi qualitativi e quant'altro favoriscano un "ritorno alla ragione".
      Tuttavia in molte occasioni mi vedo purtroppo costretto a rivangare la locuzione latina "errare humanum est, perseverare autem diabolicum" e ciò in quanto la capacità di noi umani di imparare dai nostri errori è ahimè molto limitata.

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  2. Luigi se non sbaglio quello stesso studio dice anche questo:

    "La comparazione tra i dati USA dell’inchiesta del 2014 sul biologico e con le rese agricole globali relative allo stesso anno, alla stessa coltivazione e Stato per Stato, ci dice che se nel 2014 si fossero convertite tutte le produzioni degli USA a biologico, per ottenere la stessa produzione si sarebbe dovuto mettere in coltivazione 44 milioni di ettari in più, che è una superficie equivalente a tutte le aree dei parchi e delle foreste dei 48 Stati continentali dell’Unione o, se si vuole un altro confronto la superficie sarebbe pari a 1,8 volte più di tutta la superficie urbana della nazione."

    Questo dice ai soloni dell'ecologismo politico quale fine farebbe l'ambiente che loro si vantano di preservare.

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  3. Le stranezze nei dati della produzione biologica italiana

    Prima parte

    E’ uscito il rapporto 2014 sullo stato del settore del biologico italiano.
    http://agronotizie.imagelinenetwork.com/materiali/Varie/File/Mipaaf---Bio-in-cifre-2014.pdf

    Esso comincia con dati entusiastici e il Ministero dell’agricoltura li avvalla, anzi fa da cassa di risonanza a vere e proprie frottole raccontate all’opinione pubblica Italiana. Ma cosa se ne fanno gli agricoltori veri di un ministero di tal genere!

    Ecco cosa si afferma:

    “Sulla base delle anticipazioni dei dati Sinab diffusi dal ministero risulta che gli operatori biologici certificati in Italia al 31 dicembre 2013 sono 52.383 (erano 49.709 al 31 dicembre 2012). Rispetto ai dati riferiti al 2012 si rileva quindi un aumento complessivo del numero di operatori bio del 5,4%. In aumento anche la superficie coltivata secondo il metodo biologico, che risulta pari a 1.317.177 ettari (erano 1.167.362 nel 2012), con una crescita complessiva, rispetto al 2012, del 12,8%. Anche sul fronte del consumo interno i dati diffusi dal ministero, su rilevazione del Panel famiglie Ismea/Gfk-Eurisko nei primi cinque mesi del 2014, portano il segno positivo, grazie a una spesa di prodotti confezionati a marchio bio nel canale della Gdo ancora in espansione con addirittura un +17,3% in valore rispetto allo stesso periodo del 2013.”

    Premesso questo, si è voluto ragionare sui dati che sono presentati nella pubblicazione e di farne i relativi scorpori per capire i veri andamenti ed evidenziare le contraddizioni più eclatanti. In particolare si è ragionato sulla tabella 1 e 3, numero di operatori e superfici investite.

    Nella tabella 1 sono riportati il numero di operatori per tipologia e Regione. Il totale è 52.383 operatori, ma i dati includono anche ben 6.414 operatori che c’entrano con la filiera del biologico, ma che non c’entrano con l’agricoltura biologica vera, cioè di chi produce, si reputa che si dovrebbe ragionare solo dalle aziende produttrici esclusive ed al limite produttori/preparatori, ma c’è da stabilire se sono preparatori della loro produzione o anche di prodotti che comprano sul mercato e che potrebbero essere importati. Dunque in realtà si tratta solo di 45.969 addetti veri.

    Ma l’anomalia che balza subito agli occhi è la disparità geografica della localizzazione degli agricoltori “bio” esclusivi. Se si prende in considerazione questi, cioè i veri agricoltori biologici, essi sono solo 41.513; se poi li si raggruppa con criterio regionale, cioè il gruppo delle Regioni meridionali, quello delle Regioni centrali e con molti territori collinari e montagnosi e quello delle regioni pianeggianti del Nord Italia, seppure con parti alpine non indifferenti, si trovano le seguenti evidenze:

    Le regioni meridionali annoverano ben 27.696 operatori (vale a dire il 66,7%). Le regioni fortemente interessate da una orografia non facilitante l’agricoltura incidono per 10.506 operatori, cioè il 25,5%, mentre le quattro regioni pianeggianti italiane, cioè dove è possibile fare agricoltura e dove effettivamente si fa il grosso delle produzioni alimentari dell’Italia, incidono per 3.311 operatori pari al 7,9%

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  4. Seconda parte:

    Da quanto elaborato si evince che si fa agricoltura biologica solo e quasi esclusivamente sui terreni montagnosi e collinari, che come ben si sa sono praticamente abbandonati da anni. Pertanto, a mio avviso, parliamo di operatori che non potendo ricavare nulla dai loro terreni, chiedono la certificazione biologica e lucrano almeno gli incentivi previsti. Senza considerare che il dato delle Regioni Meridionali è particolarmente anomalo, Possibile che la cultura ambientalistica e di rispetto della natura sia sentito per i 2/3 al Sud, per 1/3 al centro e per niente nelle regioni padane. Io padano dovrei arrossire quando incontro gli amici del Sud? Comunque il grafico 1 riportato nel link ci conferma che il Ministero non ha nulla di cui andare fiero perché abbiamo avuto un crescita esponenziale degli operatori fino al 2001, ma poi tutto si è praticamente fermato. Il dire che abbiamo il 10% della SAU italiana è una vera e propria iperbole in quanto considerare nella SAU italiana i terreni delle nostre colline e montagne da tempo abbandonati è voler far credere lucciole per lanterne!


    Una ulteriore riprova della esattezza delle considerazioni fin qui ricavate la troviamo se analizziamo la tabella n° 3, cioè quella delle superfici delle varie coltivazioni condotte con metodo biologico. Qui si sono messe assieme le coltivazioni, anzi per quanto detto prima “non coltivazioni”, che hanno in comune una superficie praticamente incolta per vari anni o che non hanno bisogno di input esterni e quindi dove è facile rispettare i protocolli del coltivare biologico, vale a dire: Colture foraggere, Olivo, Prati pascoli, Pascolo magro (sic!!!)Terreno a riposo (bi-sic!!!).
    Ma la chicca sono i 62.647 ettari di “superfici forestali e/o superfici di raccolta spontanea (funghi, tartufi, bacche selvatiche) non pascolate e dichiarate all’operatore, altro.”

    Ebbene se si sommano le superfici delle prime cinque coltivazioni elencate (tralasciamo pure l’amenità dei 62.647 ha predetti) si ottiene ben 860.406 ettari rispetto al 1.317.177 ettari dichiarati, vale a dire ben il 65,3% di tutta la superficie dedicata all’agricoltura biologica. Dalle statistiche del biologico si ricava che l’Italia produci frutta subtropicale biologica?
    Onestà intellettuale voleva che si fossero dichiarati anche i volumi produttivi, perché solo così si poteva comunicare al consumatori la produttività unitaria delle varie coltivazione e farne un raffronto in modo da dire quale perdite in volumi di cibo erano ascrivibili ad un coltivare antelucano.
    Altra amenità, non credibile, si ricava dividendo superficie totale per numero di coltivatori biologici per ottenere la superficie media di ogni azienda biologica, infatti questa risulta di 31,7 ettari. Ma ci si rende conto che le aziende biologiche sono 4 volte più grandi dell’azienda media italiana? Non solo ma queste sono in gran parte localizzate al Centro-Sud dove notoriamente la vocazione agricola è da sempre precaria.
    Infine il grafico 2 ci dive che siamo di fronte ad un consumo totalmente fideistico e praticato dalla parte più danarosa della popolazione italiana ( il cibo biologico costa da un 30 ad un 60% di più), infatti si dice che tra il 2012 ed il 2013 i consumi di cibi biologici sono aumentati del 17,4% quando ben si sa che il trend dei consumi alimentari sta calando da vari anni per la contingente situazione economica che impedisce a molta gente di riempire i frigoriferi come prima.
    Ma il Ministero dell’agricoltura considera la maggioranza degli italiani degli interdetti? Certo che se non si dice loro che la superficie coltivabile necessaria per nutrire la popolazione europea tramite l’agricoltura biologica dovrebbe aumentare di 28 milioni di ettari, equivalenti alla copertura forestale di Francia, Germania, Danimarca e Gran Bretagna, si è più vicini al Minculpop del “ventennio” che ad un Ministero di una nazione democratica.

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    1. Caro Alberto, grazie per l'ampio e interessantissimo commento che mette in luce le peculiarità negative del caso italiano.
      Una proposta, che giro anche a Francesco: trasformare queste tue note in un articolo autonomo in quanto meritano un maggiore visibilità.

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  5. Luigi, sono pienamente d'accordo nel trasformare queste note molto interessanti in articolo,Alberto lo farà di sicuro!

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